martedì 8 giugno 2010

Governo clinico in Parlamento: discussione sulle linee generali


Con qualche giorno di ritardo rispetto a quanto promesso dal Ministro Fazio, il testo sul Governo clinico ieri è finalmente approdato in Assemblea.

Ecco la relazione dell’On. Di Virgilio che illustra il testo unico articolo per articolo.

Con l’espressione «governo delle attività cliniche» si intende più comunemente un programma di gestione e di miglioramento della qualità e dell’efficienza di un’attività medica generalmente operata a livello di dipartimento di una azienda sanitaria locale od ospedaliera.

Nel provvedimento vengono introdotti alcuni principi fondamentali volti a correggere alcune eclatanti deficienze che sono alla base di disfunzioni del Servizio sanitario nazionale al fine di migliorare la funzionalità delle ASL attraverso un potenziamento del ruolo del medico nelle scelte strategiche e gestionali delle ASL stesse, nonché attraverso la previsione di una maggiore trasparenza ed equità nel sistema di valutazione e selezione delle risorse umane.

Infatti la tutela della salute e le professioni rientrano fra le materie riconducibili alla competenza legislativa concorrente di cui all’articolo 117, comma 3, della Costituzione, nelle quali è sancito il compito dello Stato, cioè dettare i principi fondamentali mentre spetta alle regioni l’adozione della normativa di dettaglio.

Il testo unificato in particolare prevede, all’articolo 1, i principi fondamentali del governo delle attività cliniche disciplinato dalle regioni. Esso interessa le aziende sanitarie locali ed ospedaliere, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico, e le aziende di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517 (le aziende ospedaliero-universitarie, o aziende miste). Il governo delle attività cliniche garantisce, nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente, il modello organizzativo idoneo a rispondere efficacemente alle esigenze degli utenti e dei professionisti del Servizio sanitario nazionale, assicurando il miglioramento continuo della qualità delle prestazioni secondo criteri di sicurezza, prevenzione, gestione dei rischi, tutela della riservatezza, corretta ed esclusiva informazione del paziente, come sancito anche dalla Carta europea dei diritti del malato (presentata a Bruxelles il 15 novembre del 2002), e nel rispetto dei principi di equità e di universalità nell’accesso ai servizi.

All’articolo 2, comma 1, si prevede l’istituzione del collegio di direzione come organo dell’azienda che affianca – come oggi è previsto – il direttore generale e il collegio sindacale. Si individuano altresì le funzioni del collegio di direzione, le cui competenze sono definite però dalla regione nei limiti delle risorse finanziarie disponibili e senza nuovi oneri per la finanza pubblica.
Viene prevista un’ampia rappresentatività ai membri di diritto, quali direttore sanitario o direttore amministrativo, e per gli IRCCS anche per il direttore scientifico, oltre ad una componente elettiva delle unità operative, dei direttori di dipartimento e delle professioni sanitarie a discrezione delle regioni. Nelle aziende miste viene assicurata la rappresentanza sia della componente ospedaliera sia di quella universitaria.

Al fine di ripristinare la meritocrazia e la trasparenza ad ogni livello anche attraverso il ridimensionamento della politica nelle scelte dei dirigenti in sanità, all’articolo 3 vengono individuati i requisiti indispensabili all’accesso alle nomine e ai criteri di valutazione dei direttori generali, adottando misure miranti a garantire i criteri di pubblicità e trasparenza. Ad essi viene richiesta una competenza specifica valutata da una commissione nominata dalle regioni.

All’articolo 4 vengono previste modifiche all’articolo 15-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992, ed in particolare, al comma 1 dell’articolo 4 si modificano le modalità di nomina dei responsabili di struttura semplice e di quella semplice dipartimentale nel quadro e secondo le modalità definite dalla contrattazione collettiva nazionale. Al comma 1 si prevede che uno dei requisiti richiesti per essere nominato dirigente è un’anzianità di servizio di almeno cinque anni nella disciplina oggetto dell’incarico (quello della struttura semplice dipartimentale è individuato dal direttore generale sentito il collegio di direzione e il direttore sanitario; quello di struttura semplice, intesa come articolazione interna ad una struttura complessa è individuato sempre dal direttore generale, sentito però il direttore di struttura complessa di afferenza e il comitato di dipartimento). Al comma 2 dell’articolo 4 si modificano le modalità di nomina del responsabile di struttura complessa, che sono ben diverse dall’attuale normativa. La commissione, a differenza di quanto avviene oggi, viene sorteggiata e fornisce al direttore generale una terna di candidati e non un elenco infinito di idonei. I tre candidati saranno valutati secondo i titoli professionali, scientifici e di carriera e dai risultati di eventuali prove d’esame stabilite dalle regioni. Ecco, allora, che si rivaluta la meritocrazia ed in particolare si vuole rivalutare il ruolo del medico in tutte le fasi dell’attività clinica e prestare una maggiore attenzione ai criteri di nomina del direttore generale. Naturalmente, i suddetti incarichi sono attribuiti nei limiti delle risorse finanziarie disponibili e nei limiti del numero degli incarichi delle strutture stabilite nell’atto aziendale, tenendo conto delle valutazioni triennali del collegio tecnico di cui all’articolo 15, comma 5, del decreto legislativo n. 502 del 1992.

All’articolo 5 vengono previsti gli strumenti definiti dalle regioni per la valutazione dei dirigenti medici e sanitari con incarico di direzione di struttura complessa e di direttore di dipartimento.

All’articolo 6 si modifica l’articolo 17-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992 in materia di organizzazione dipartimentale che rappresenta la gestione operativa – e questa è una novità di tutte le attività delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere – secondo cui il direttore di dipartimento è nominato sì dal direttore generale, ma sentito il collegio di direzione, tra una terna di dirigenti con incarico di direzione di struttura complessa proposta dal comitato di dipartimento.

L’articolo 7 modifica l’articolo 17-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 circa la responsabilità dei direttori di dipartimento sia sul piano gestionale sia sul piano organizzativo.

L’articolo 8, che è fonte di varie diatribe, dispone una omogeneizzazione del collocamento a riposo dei dirigenti medici del ruolo sanitario e dei professori universitari di ruolo. Oggi esiste una disomogeneità perché alcuni vanno in pensione a 65 anni e, se valutati in base all’operatività dal direttore generale, a 67, mentre nell’università si va in pensione anche a 72 anni. Questo certamente non è un provvedimento che vuole penalizzare i giovani. Tre giorni fa il Governatore Draghi parlava dell’esperienza di paesi nordici e dimostrava come l’aumento dell’età pensionabile sia pienamente compatibile con un’elevata occupazione dei giovani. La soluzione di una più elevata occupazione, tanto per i giovani quanto per gli anziani, va quindi ricercata con strumenti diversi da quello dell’anticipo del pensionamento. Un giovane con le norme vigenti per operare nel Servizio sanitario nazionale deve essere in possesso anche della specializzazione, per cui mai e poi mai potrebbe raggiunge 40 anni di servizio effettivo e, quindi aspirare al massimo della pensione, se non riscattando gli anni di laurea e di specializzazione, con notevole impegno economico. Quindi, vengono favorite le classi con maggiori possibilità economiche.
Allora, il comma 1 dell’articolo 8 si propone di modificare l’articolo 15-nonies del decreto legislativo n. 502 del 1992, disponendo che il sessantasettesimo anno è il limite massimo di età per il collocamento a riposo dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, compresi i direttori di struttura complessa. Viene, tuttavia, introdotta la facoltà per il dirigente di permanere, a domanda, in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età (come nell’università). Il collegio di direzione dell’azienda valuterà questa richiesta. I professori universitari di ruolo cessano dalle attività ordinarie assistenziali con il collocamento a riposo, fatto salvo quanto previsto dalla legge 4 novembre 2005, n. 230. I professori universitari, però, possono continuare a svolgere attività di ricerca pur avendo cessato dalle ordinarie attività assistenziali per limiti d’età.
Al comma 3 dell’articolo 8 si modifica, conseguentemente, il decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, inserendo tra le categorie a cui non si applicano le disposizioni previste nel decreto suddetto i dirigenti medici, veterinari e sanitari del Servizio sanitario nazionale e i medici universitari convenzionati con il Servizio sanitario nazionale.

All’articolo 9 sono previste norme dettagliate per l’attività libero-professionale dei dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, che viene disciplinata sempre dalle regioni nel rispetto di alcuni principi fondamentali: a) unicità del rapporto di lavoro con incompatibilità di dipendenza da ogni altro ente pubblico o privato; b) l’attività libero-professionale deve essere espletata fuori dell’orario di lavoro, all’interno delle strutture sanitarie, o anche all’esterno, con esclusione delle strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale; c) l’attività libero-professionale può essere espletata con rapporto non esclusivo, con rapporto esclusivo e attività libero-professionale intramuraria e con rapporto esclusivo e attività libero-professionale intramuraria in studi professionali (cosiddetta intramuraria allargata).
La suddetta attività è regolata con le seguenti modalità disciplinate dalle regioni nel rispetto dei seguenti principi: a) per ciascun dipendente, la quantità di prestazioni dell’attività libero-professionale non deve superare quella assicurata per l’impegno istituzionale e non deve prevedere un impegno orario superiore al 50 per cento di quello previsto nel servizio con l’ASL e deve concorrere alla riduzione progressiva delle liste di attesa; b) le tariffe per le prestazioni di attività libero-professionale sono stabilite previo accordo con le organizzazioni sindacali della dirigenza sanitaria d’intesa con le ASL, in grado di coprire tutti i costi diretti ed indiretti dell’attività medesima; c) è facoltà delle ASL di non attivare o attivare parzialmente la libera professione intramuraria e, quando è attivata, deve essere gestita dalla ASL mediante un centro unico di prenotazione con spazi e liste separati tra attività istituzionale e attività libero-professionale, secondo linee guida regionali; d) nessun onere deve essere previsto per l’ASL nell’esercizio dell’attività libero-professionale svolta all’esterno delle aziende; e) l’attività di monitoraggio e controllo sul corretto esercizio dell’attività libero-professionale è svolta dalle regioni anche attraverso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali; f) ai dirigenti in regime di rapporto di lavoro esclusivo spetta un’indennità di esclusività nei limiti delle risorse destinate alla contrattazione collettiva; g) il direttore generale stabilisce le modalità di svolgimento dell’attività libero-professionale durante la quale, comunque, non si può utilizzare il ricettario del Servizio sanitario nazionale.

All’articolo 10 viene normata la libera professione, invece, degli altri operatori sanitari non medici, di cui alla legge 10 agosto 2000 n. 251, gestita dalle ASL e disciplinata dalle regioni secondo i principi fondamentali seguenti: a) per ciascun dipendente, la quantità di prestazioni dell’attività libero-professionale non deve superare quella assicurata per l’impegno istituzionale e non deve prevedere un impegno orario superiore al 50 per cento; b) la tariffa per le prestazioni dell’attività libero-professionale è prestabilita previo accordo aziendale con le organizzazioni sindacali d’intesa con le ASL e i redditi derivanti dall’attività libero-professionale sono assimilati a quelli di lavoro dipendente; c) un centro unico di prenotazione gestisce l’attività e il pagamento delle prestazioni, prevedendo spazi e liste separati tra attività istituzionale e attività libero-professionali, secondo linee guida regionali; d) nessun onere per l’ASL deve derivare dall’esercizio dell’attività libero-professionale svolta all’esterno delle strutture aziendali; e) l’attività di monitoraggio – come per i medici – e il controllo sul corretto esercizio dell’attività libero-professionale è svolta dalle regioni, anche attraverso l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.

L’articolo 11 riguarda la programmazione e la gestione delle tecnologie sanitarie da parte delle regioni, garantita nei limiti delle risorse disponibili.

L’articolo 12 sancisce che la norma si applica anche alle aziende di cui all’articolo 2 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, e agli IRCCS di diritto pubblico.

L’articolo 13 del testo unificato esaminato in Commissione abrogava, infine, gli articoli 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni.

Si tratta – sostiene l’On. Di Virgilio – di norme finalizzate a correggere storture ed inefficienze attuali del Servizio sanitario nazionale con il rispetto dei ruoli delle regioni, come previsto dal titolo V della Costituzione, ed il giusto riconoscimento del ruolo dei medici e degli altri operatori sanitari. Norme che servono a privilegiare la meritocrazia al di là e al di sopra di ingiustificate e artate polemiche mosse anche dall’opposizione, come sentiremo, che dovrebbe, come noi, auspicare e invocare i correttivi perché il Servizio sanitario nazionale risponda meglio alle giuste esigenze dei cittadini e di tutti gli operatori sanitari.

Oggi, a partire dalle ore 15, vi sarà il seguito della discussione previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata.

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